Corre il minuto 77 quando Hristo Zlatinski fa partire un tiro dai 40 metri che
a guardarlo somiglia più ad uno spazzone nella zona “sbagliata” del rettangolo
di gioco. Fra 30 anni il buon Hristo magari sarà a tavola a raccontare ai suoi
nipoti di quando segnò alla Lazio da centrocampo (le storie, col tempo, si
modificano sempre di quel tanto che le renda leggenda) portando il Ludogorets
agli ottavi di finale dell’Europa League. Per ora è un buon nazionale bulgaro
che ha appena buttato via un pallone a centrocampo. Uno di quei “peccati” che
sono più che sufficienti a tanti allenatori italiani per chiamare il panchinaro
di turno a scaldarsi.
All’improvviso una
strana sensazione corre dietro alla schiena…
Le grida di supporto
dei tifosi bulgari pian piano si spengono mentre il pallone continua la sua
traiettoria malinconica verso le porta laziale. Ad aspettarlo c’è Federico
Marchetti nel suo inconsueto duplice ruolo di portiere-saracinesca della Lazio
(e all’occorrenza della nazionale) e di uomo. E gli uomini, purtroppo,
sbagliano. Poi capita che sei il portiere, e se sbagli tu già sai che la tua
faccia sconsolata campeggerà su tutti i quotidiani sportivi. A più di mille
chilometri di distanza da quel rimbalzo funesto, infatti, il Giancarlo Dotto di
turno sta tornando a casa col volume della radio al minimo. Ha spento la tv e
abbandonato la redazione sul 2-0 per la Lazio, una volta capito che la
differenza fra le due squadre in campo è tale da non lasciare spazio a nessuna
speranza per i soliti gufi. “Troppa Lazio a Sofia: missione compiuta”: Dotto fa
una smorfia mentre cerca di immaginare il titolo del Corriere nella triste
mattinata che si affaccia per la stampa romana.
In una manciata di
secondi tutto cambia. Marchetti afferra la palla, ma a Federico scappa. Una
pezza ce la mette ancora Marchetti recuperandola qualche decina di centimetri
prima che varchi del tutto la linea di porta. Non è dello stesso avviso il
signor Benquerenca che tiene in sospeso tutti, da Marchetti a Dotto, prima di
decidere che dopotutto l’esitazione di Federico non può rimanere impunita.
L’errore non è lampante come quelli ormai passati alla storia dell’arbitro
Collum dello scorso anno contro il Fenerbahce, ma il dubbio che ci sia lo
zampino di Platini (non il giocatore del Ludogorets, ma quello “di palazzo”..
strano il destino!) passa nella mente di tutti, probabilmente pure in quella di
Dotto.
Nemmeno il tempo di
indignarsi e un lancio lungo mette Klose di fronte al portiere bulgaro,
Stoyanov. La palla non entra ma la sensazione netta che ci sia troppa
differenza fra le due squadre si concretizza pochissimo dopo, quando un nuovo
lancio trova Biglia pronto alla stoccata in porta di testa. Il leitmotiv delle
due partite va di nuovo in scena: il portiere dice di no, quasi a dimostrazione
che dopotutto Davide può davvero fermare Golia. E invece ecco che in groppa al
suo cavallo bianco accorre Klose, eroe i mille battaglie, che rimette tutto
apposto. Come successo a Sassuolo pochi giorni prima, il 2-3 sembra dare un
calcione alla sfortuna, a Platini, agli errori e, perché no, pure ai Dotto che
in tutte le redazioni romane fremono per poter infierire sui resti di questa
povera Lazio.
Un recupero importante,
la dimostrazione di un carattere che sembra sia stato riscoperto nel dopo
Petkovic, un gioco convincente, il goal dell’idolo di casa Lazio. Se sei
laziale da prima dei fasti della Lazio di Cragnotti questa perfetta congiunzione
astrale di eventi non può non farti almeno storcere la bocca.
Poi quella sensazione,
di nuovo, ma stavolta riconosci il
sapore della beffa…
L’epilogo si consuma
all’88esimo, su un lancio dalla difesa bulgara. Per capirsi uno di quei lanci
della disperazione che si tramutano in regali per i difensori avversari al 100%
se tifi squadra come la Juventus, il Barcellona o simili. E invece tifi Lazio,
e di cose del genere ne hai viste troppe per non sobbalzare quando Biava va sul
pallone col 99% della sua solita foga agonistica. Un 1% sufficiente a far carambolare
la palla nella zona di un Marchetti ancora troppo spaurito per fare quei due
passi e polverizzare quello che probabilmente è l’ultimo sussulto della gara. Un’esitazione
che spinge uno sconosciuto (anche questo) ma audace Juninho Quixada a lanciarsi
verso il pallone ed impattarlo. Il come
non conta, come da regolamento nel manuale “Gesti della Disperazione”.
L’importante è colpirlo che poi, si sa, la fortuna aiuta gli audaci. La palla
non entra direttamente, ma decide di scherzare col palo prima di superare
lentamente la linea di porta.
Poco
importa che uno 0-3 non avrebbe sorpreso nessuno come risultato. Poco importa
che i bulgari abbiano tirato in porta una volta facendo tre goal. Pochi
centimetri più a sinistra e avremmo letto di una grande rimonta della prima
squadra della capitale, ma…
“… questo fa parte della vita
però tu lo impari
solo quando quelle cose le cominci a perdere
e scopri che la vita è un gioco di centimetri
e così è il football
perchè in entrambi questi giochi
la vita e il football
il margine d'errore è ridottissimo
capitelo
mezzo passo fatto un pò in anticipo
o un po in ritardo
e voi non ce la fate!”
però tu lo impari
solo quando quelle cose le cominci a perdere
e scopri che la vita è un gioco di centimetri
e così è il football
perchè in entrambi questi giochi
la vita e il football
il margine d'errore è ridottissimo
capitelo
mezzo passo fatto un pò in anticipo
o un po in ritardo
e voi non ce la fate!”
Da domenica si
ricomincia, c’è la Fiorentina, bisogna scuotersi in fretta: in ballo ci sono
altri centimetri.
Andrea Ianni
Andrea Ianni
ahuahuahuahuuah...........
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