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domenica 2 marzo 2014

QUEI MALEDETTI CENTIMETRI





Corre il minuto 77 quando Hristo Zlatinski fa partire un tiro dai 40 metri che a guardarlo somiglia più ad uno spazzone nella zona “sbagliata” del rettangolo di gioco. Fra 30 anni il buon Hristo magari sarà a tavola a raccontare ai suoi nipoti di quando segnò alla Lazio da centrocampo (le storie, col tempo, si modificano sempre di quel tanto che le renda leggenda) portando il Ludogorets agli ottavi di finale dell’Europa League. Per ora è un buon nazionale bulgaro che ha appena buttato via un pallone a centrocampo. Uno di quei “peccati” che sono più che sufficienti a tanti allenatori italiani per chiamare il panchinaro di turno a scaldarsi.
All’improvviso una strana sensazione corre dietro alla schiena…
Le grida di supporto dei tifosi bulgari pian piano si spengono mentre il pallone continua la sua traiettoria malinconica verso le porta laziale. Ad aspettarlo c’è Federico Marchetti nel suo inconsueto duplice ruolo di portiere-saracinesca della Lazio (e all’occorrenza della nazionale) e di uomo. E gli uomini, purtroppo, sbagliano. Poi capita che sei il portiere, e se sbagli tu già sai che la tua faccia sconsolata campeggerà su tutti i quotidiani sportivi. A più di mille chilometri di distanza da quel rimbalzo funesto, infatti, il Giancarlo Dotto di turno sta tornando a casa col volume della radio al minimo. Ha spento la tv e abbandonato la redazione sul 2-0 per la Lazio, una volta capito che la differenza fra le due squadre in campo è tale da non lasciare spazio a nessuna speranza per i soliti gufi. “Troppa Lazio a Sofia: missione compiuta”: Dotto fa una smorfia mentre cerca di immaginare il titolo del Corriere nella triste mattinata che si affaccia per la stampa romana.
In una manciata di secondi tutto cambia. Marchetti afferra la palla, ma a Federico scappa. Una pezza ce la mette ancora Marchetti recuperandola qualche decina di centimetri prima che varchi del tutto la linea di porta. Non è dello stesso avviso il signor Benquerenca che tiene in sospeso tutti, da Marchetti a Dotto, prima di decidere che dopotutto l’esitazione di Federico non può rimanere impunita. L’errore non è lampante come quelli ormai passati alla storia dell’arbitro Collum dello scorso anno contro il Fenerbahce, ma il dubbio che ci sia lo zampino di Platini (non il giocatore del Ludogorets, ma quello “di palazzo”.. strano il destino!) passa nella mente di tutti, probabilmente pure in quella di Dotto.
Nemmeno il tempo di indignarsi e un lancio lungo mette Klose di fronte al portiere bulgaro, Stoyanov. La palla non entra ma la sensazione netta che ci sia troppa differenza fra le due squadre si concretizza pochissimo dopo, quando un nuovo lancio trova Biglia pronto alla stoccata in porta di testa. Il leitmotiv delle due partite va di nuovo in scena: il portiere dice di no, quasi a dimostrazione che dopotutto Davide può davvero fermare Golia. E invece ecco che in groppa al suo cavallo bianco accorre Klose, eroe i mille battaglie, che rimette tutto apposto. Come successo a Sassuolo pochi giorni prima, il 2-3 sembra dare un calcione alla sfortuna, a Platini, agli errori e, perché no, pure ai Dotto che in tutte le redazioni romane fremono per poter infierire sui resti di questa povera Lazio.
Un recupero importante, la dimostrazione di un carattere che sembra sia stato riscoperto nel dopo Petkovic, un gioco convincente, il goal dell’idolo di casa Lazio. Se sei laziale da prima dei fasti della Lazio di Cragnotti questa perfetta congiunzione astrale di eventi non può non farti almeno storcere la bocca.
Poi quella sensazione, di nuovo, ma stavolta  riconosci il sapore della beffa…
L’epilogo si consuma all’88esimo, su un lancio dalla difesa bulgara. Per capirsi uno di quei lanci della disperazione che si tramutano in regali per i difensori avversari al 100% se tifi squadra come la Juventus, il Barcellona o simili. E invece tifi Lazio, e di cose del genere ne hai viste troppe per non sobbalzare quando Biava va sul pallone col 99% della sua solita foga agonistica. Un 1% sufficiente a far carambolare la palla nella zona di un Marchetti ancora troppo spaurito per fare quei due passi e polverizzare quello che probabilmente è l’ultimo sussulto della gara. Un’esitazione che spinge uno sconosciuto (anche questo) ma audace Juninho Quixada a lanciarsi verso il pallone ed impattarlo. Il come non conta, come da regolamento nel manuale “Gesti della Disperazione”. L’importante è colpirlo che poi, si sa, la fortuna aiuta gli audaci. La palla non entra direttamente, ma decide di scherzare col palo prima di superare lentamente la linea di porta.
Poco importa che uno 0-3 non avrebbe sorpreso nessuno come risultato. Poco importa che i bulgari abbiano tirato in porta una volta facendo tre goal. Pochi centimetri più a sinistra e avremmo letto di una grande rimonta della prima squadra della capitale, ma…
“… questo fa parte della vita
però tu lo impari 
solo quando quelle cose le cominci a perdere
e scopri che la vita è un gioco di centimetri
e così è il football
perchè in entrambi questi giochi
la vita e il football
il margine d'errore è ridottissimo
capitelo
mezzo passo fatto un pò in anticipo
o un po in ritardo
e voi non ce la fate!”
Da domenica si ricomincia, c’è la Fiorentina, bisogna scuotersi in fretta: in ballo ci sono altri centimetri.


Andrea Ianni

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