Il fischio finale dell’arbitro sancisce la fine di una partita, Lazio-Atalanta, e quella di una stagione, quella della società capitolina, che abbandona con buona probabilità anche il suo ultimo obiettivo stagionale. La matematica di suo basterebbe, con Inter e Parma che guadagnano tre lunghezze e piazzano un (+5) e (+6) che a questo punto del campionato fanno lo stesso suono di Beep Beep davanti al povero Coyote. Se poi ci metti un Toro che scalpita a -2, un Verona dai Toni acuti e un Milan pieno zeppo di campioni pronti a svegliarsi da una giornata all’altra ti rendi conto che la sentenza è arrivata.
E non ti arrabbi
nemmeno perché, dopo il trionfo di Firenze, un po’ te l’aspettavi. È l’emblema
di un’altalena di emozioni che va in scena dal 2004. Cambiano gli attori,
cambiano di poco le situazione, ma la “pappa” è sempre la stessa. Archimede la
spiegherebbe così: ad ogni piccolo miracolo sportivo della squadra arriverà una
mazzata di intensità pari e contraria. Un’altalena che oggi ha distolto
l’attenzione dal prato dell’Olimpico per accendere i riflettori sulle gradinate
vuote. Una contestazione totale che ha compattato una tifoseria come forse mai
prima in Italia. Un BASTA urlato con civiltà e dignità, nonostante la
frustrazione del non vedere una via d’uscita.
Attenzione a non cadere
nelle strumentalizzazioni del Gestore però, soprattutto per chi è esterno all’ambiente:
nessuno chiede lo scudetto. Gli anni di Cragnotti non hanno indebolito una fede
forgiata in anni ben peggiori di questi (sotto il punto di vista dei
risultati). Il tifoso, per anni, ha chiesto un molto più economico rispetto.
È l’estate del 2004
quando un bel gruppone di sconosciuti accende la curiosità della piazza: chissà
che il nuovo volto della Lazio non possa essere quello di arrembanti talent-scouts
sguinzagliati per tutti gli stadi d’Europa?! In quella storica “giornata dei 9 acquisti al
fotofinish” arrivano a Roma Antonio ed Emanuele Filippini, Esteban Gonzalez,
Bryan Robert, Anthony Seric, Sebastiano Siviglia, Leonardo Talamonti, Miguel
Angel Mea Vitali ed un certo Tommaso Rocchi, un fortunoso lampo di qualità in
mezzo ad un’imbarazzante pochezza. Si sogna fino a che non parte il campionato
e arrivano i primi inevitabili dubbi circa la qualità di questi “osservatori”… che
poi scopri essere Lotito, il suo giornalaio di fiducia, il nipotino
appassionato di calcio (probabilmente quello che ha scovato Rocchi)… e allora
tutto diventa chiaro.
Il resto racconta una
storia fatta di arrabbattamenti, contratti lanciati dentro una stanza come
pesce al mercato, litigi mediatici contro tutto e tutti, affari persi per
risparmiare pochi spiccioli, cause contro tifosi, calciatori, vecchi e bambini…
e questo, a te che ci metti la passione, non va giù: perché il non vincere puoi accettarlo, ma sopportare lo
stridio che fa una storia gloriosa contro una cornice squallida e meschina è
ben altra cosa.
La fortuna vuole che
perfetti sconosciuti come Kolarov, Lulic, Dias salgano alla ribalta, che acquisti
azzardati come quelli di Zarate e di Hernanes rischiarino il cielo quasi
fossero tuoni durante un’interminabile notte (cfr. Seric, Oscar Lopez, Robert, Esteban Gonzalez,
Mea Vitali, Talamonti, Lequi, Bazzani, De Sousa, Keller, Siqueira, Belleri,
Giallombardo, Piccolo, Bonanni, Tare, Berni, Bonetto, Quadri, Gimelli, Makinwa,
Jimenez, Artipoli, Rozenhal, Correa, Del Nero, Foggia, Vignaroli, Meghni,
Carrizo, Degré, Barreto, Eliseu, Hitzlsperger, Cruz, Garrido, Bresciano,
Sculli, Di Pietro, Rosario, Stankevicius, Alfaro, Cissé, Ciani, Pereirinha,
Saha), ma il buio… quello torna sempre.
E se è vero che anche
dove manca completamente un progetto “uno su mille ce la fa”, e magari ti
capita di ritrovarti un Keita nelle giovanili… d’altro canto è la Lazio a non
farcela più. Ogni volta che si sono riattaccate le piume sgualcite su quel che
rimaneva delle ali, il Regolatore è piombato a bruciarle di nuovo. Icaro, però,
si è stancato di provarci, e la “grande vuotezza dell’Olimpico” non poteva
esserne dimostrazione più lampante.
Andrea Ianni
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